Thank you Mr. Rogers!
It’s been a fun ride
Monday, April 25, 2016
My first recollection of professional cycling was in 1986, when I was
seven years old. My family was new to cycling. At the time cycling in
Australia was not a mainstream sport and the only way to follow the
professional peloton was via magazine subscription. Luckily my elder
brothers and I were the beneficiaries of VHS recordings of the Tour of
Flanders, Paris-Roubaix and the complete 21 stages of the Tour de
France, posted to us by my mother’s relatives in the Netherlands.
I don’t know how many hours I spent during my childhood years engrossed
in what was happening on those tapes. During my early teens my mind was
solely occupied with professional cycling, so much so that my default
response to the friendly request, “Let’s go hang out at the shopping
mall after school” offers was plain and simply: “No”. My post-school
time had already been mapped out: rush home, have a quick snack, turn on the TV and study the nuances of yet another pro race.
Team names such as PDM, Panasonic, RMO – just to name a few – were the
subject of long discussion during family meals. I felt like I was put on
earth to become a professional cyclist. It was my dream.
Sound like an
interesting dream?
It became reality. I got the job. My professional
cycling career spanned 16 years.
I was the first person in cycling
history to win three consecutive professional world time trial
championships.
I won stages at the Tour de France and Giro d’Italia.
I
represented Australia at four Olympic Games.
I worked on and off the
bike with exceptionally smart and talented people, created lasting
friendships, smiled and laughed lots, made a bunch of mistakes, cried
myself to sleep a few times, travelled the world and learned to speak foreign languages. Did I mention that I had the time of my life? All of this thanks to one dream – to become a professional cyclist.
All great dreams eventually come to an end, and today it’s time to
conclude mine by announcing my retirement from racing.
Recent cardiac
examinations have identified occurrences of heart arrhythmia which have
never been detected beforehand. This latest diagnosis, added to the
congenital heart condition I was diagnosed with in 2001, means that my
competitive career must end. My last race being the Dubai Tour in
February.
In hindsight I’m grateful my original cardiac condition, a
malformation of the aortic valve, remained stable until recently,
allowing me to compete from my humble beginnings in the Australian
outback town of Griffith, all the way to top of the professional ranks.
Whilst I’m disappointed to miss my 13th Tour de France and a chance to
compete at my fifth Olympic Games, I’m not prepared to put my health in jeopardy.
The opportunity of being a professional cyclist is that after
retirement the challenge of a whole new career beckons. And even more
importantly, I married the woman of my dreams 11 years ago, and together
we are raising three particularly animated daughters.
I’d like to take this opportunity to thank all my former team-mates,
personnel and team managers from the respective teams I raced with. The
endless amounts of fun we had together will always be at the forefront
of my mind. Many of you have had, and continue to have, a big influence
on my life. A further mention goes to my worldwide fan base. Your
support during the good times and the bad is greatly appreciated.
I’ll
particularly miss the riders, personnel and management of Team Tinkoff.
Owner Oleg Tinkov is by no means your typical cycling stereotype. He is a
one-of-a-kind supporter of our sport and I hope he reconsiders his
decision to leave cycling at the end of the year.
Lastly but not least, my biggest expression of gratitude belongs to my
personal team – my wife Alessia, our three children, Sofia, Matilde and
Emily, my parents Sonja and Ian and brothers Peter and Deane. Since
leaving home at the age of 16, everything except cycling became second
priority. Subsequently I missed almost every family occasion – happy and
sad. While on the subject of family, I’m happy to see the youngest
generation of the Rogers family starting their own journeys within the
cycling world. I hope their childhood dreams become reality, like mine
did.
Michael Rogers
:: :: italian version :: ::
Il primo ricordo che ho del ciclismo è del 1986, quando avevo sette
anni. La mia famiglia era estranea al ciclismo. A quei tempi il ciclismo
in Australia non era uno sport di massa e l’unico modo per seguirlo era
abbonarsi ad una rivista sportiva. Fortunatamente io ed i miei fratelli
maggiori potevamo sfruttare le registrazioni del Giro delle Fiandre,
della Parigi-Roubaix e delle 21 tappe del Tour de France, che ci
venivano inviate per posta da alcuni parenti olandesi di mia madre.
Non
saprei dire quante ore ho trascorso durante la mia infanzia coinvolto da
quanto vedevo in quelle registrazioni. Durante i miei primi anni i miei
pensieri erano dedicati soltanto al ciclismo, tanto che la mia risposta
predefinita a richiesta gentili come “Andiamo al centro commerciale
dopo la scuola” era chiara e semplice: “No”. I miei pomeriggi erano già
pianificati: precipitarmi a casa, fare uno veloce pasto, accendere la televisione e studiare le sfumature di un’altra corsa.
Squadre come PDM, Panasonic, RMO – per citarne alcuni – erano oggetto
di lunghe discussione durante le cene in famiglia. Mi sentivo come se
fossi stato nato per diventare un ciclista. Era il mio sogno.
Sembra un
sogno interessante?
È diventato realtà. Ho ottenuto il lavoro. La mia
carriera da ciclista è durata 16 anni.
Sono stata la prima persona
nella storia del ciclismo a vincere per tre volte consecutive i mondiali
a cronometro.
Ho vinto tappe al Tour de France e al Giro d’Italia.
Ho
rappresentato l’Australia in quattro diverse edizioni delle Olimpiadi.
Ho lavorato giù dalla bici con persone dal talento e dall’intelligenza
eccezionali, creato amicizie durature, riso e sorriso tantissimo, ho
commesso un sacco di errori, mi sono pianto addosso un paio di volte, ho
girato il mondo e imparato lingue straniere. Ho già detto che ho trascorso gli anni più belli della mia vita? Tutto questo grazie a un sogno: diventare un ciclista.
Tutti i grandi sogni giungono al termine, e oggi è il momento di
concludere il mio annunciando il mio ritiro dalle corse.
Recenti esami
cardiologici hanno rilevata un’aritmia cardiaca che non mi era mai stata
individuata in precedenza. Quest’ultima diagnosi, aggiunta alla
patologia congenita che mi è stata diagnosticata nel 2001, comporta la
fine della mia carriera agonistica. La mia ultima corsa è stata il Dubai
Tour nel mese di febbraio.
Col senno di poi sono felice che i miei
problemi cardiaci congeniti, una malformazione della valvola aortica,
siano rimasti stabili sino ad oggi, permettendomi di competere dalle mie
umili origini, da Griffith, cittadina dell’entroterra australiano, fino
ai vertici del ciclismo professionistico. Sebbene sia rammaricato del
dover perdere il mio 13° Tour de France e la possibilità di competere
alla mia quinta Olimpiade, non sono disposto a mettere a repentaglio la mia salute.
La fortuna di essere stato un ciclista professionista è che dopo il
ritiro si è subito chiamati alla sfida di una nuova carriera. E
soprattutto, undici anni fa ho sposato la donna dei miei sogni ed
insieme stiamo crescendo tre figlie particolarmente agitate.
Voglio cogliere quest’occasione per ringraziare tutti i miei ex compagni
di squadra, il personale e i dirigenti di tutte le squadre per le quali
ho corso. L’infinito divertimento che abbiamo vissuto insieme avrà
sempre un ricordo speciale nella mia mente. Molti di voi hanno avuto, e
continuano ad
avere, una grande influenza sulla mia vita. Un’ulteriore
menzione va ai miei tifosi in tutto il mondo. Il vostro supporto durante
i buoni e i cattivi momenti è stato fondamentale.
Mi mancheranno in
particolar modo i corridori, il personale e la dirigenza del Team
Tinkoff. Il proprietario Oleg Tinkov non ha nulla a che vedere con gli
stereotipi del ciclismo. E’ un sostenitore unico del nostro sport e
spero che riconsideri la sua decisione di lasciare il ciclismo alla fine
dell’anno.
Infine ma non meno importante, la mia più grande espressione di
gratitudine appartiene alla mia squadra personale – mia moglie Alessia,
le nostre tre figlie Sofia, Matilde e Emily, i miei genitori Sonja e Ian
ed i miei fratelli Peter e Deane. Da quando ho lasciato casa all’età di
16 anni, tutto ciò che non fosse ciclismo ha perso di importanza. Ho
perso quasi ogni evento di famiglia – felice o triste. Oggi in famiglia
sono felice di vedere l’ultima generazione della famiglia Rogers
iniziare il proprio viaggio all’interno del mondo del ciclismo. Spero
che i loro sogni d’infanzia possano realizzarsi, proprio come è successo
ai miei.
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